Il complesso della vita sociale è principalmente una realtà fatta di segni. Di segni che significano determinati concetti. Le parole stesse sono già dei segni; ogni parola è un segno linguistico che rimanda al suo correlativo significato. Ogni segno, però – che sia immagine, parola, gesto, simbolo – ha pur sempre una natura convenzionale.
Che cosa vuol dire?
La parola “casa”, ad esempio, di certo non somiglia a una casa, ma il suo segno, il suo insieme di lettere, produce un morfema, un lemma, che diventa il referente linguistico di un oggetto fisico esistente. Tale parola sarebbe un segno visivo, se lo leggessimo; un segno acustico se invece la percepiamo e la comprendiamo con l’udito.
In inglese diremmo house, in francese maison, in tedesco haus, ecc., tutte parole diverse a livello di segno, ma tutte referenti di uno stesso significato (concetto). La natura esclusivamente convenzionale dei segni è dunque caratterizzata da una tipica arbitrarietà di legame tra un segno e il suo significato.
Questa asserzione era già nota ai filosofi medievali, per i quali il segno è sempre aliquid stat pro aliquo, cioè “qualcosa che rinvia a qualcos’altro”.
La semantica (dal greco semeion = segno) , per l’appunto, è la disciplina che studia il rapporto dei segni con gli oggetti cui si riferiscono, ossia il rapporto di designazione.
Il termine fu coniato per la prima volta da Brèal nel 1897, e compare nel titolo del suo saggio, col quale la suddetta disciplina fu presentata per la prima volta (Essais de semantique. Science des significations). La semantica è quindi quella parte della linguistica – e in particolare della logica – che studia e analizza la funzione significatrice dei segni, i nessi tra i segni linguistici (parole, frasi, ecc.) e i loro significati.
Attraverso l’opera di R. Carnap (uno dei maggiori rappresentanti del “Circolo di Vienna”, attivo negli anni ‘20) viene delimitato il campo d’azione della semantica, che in questa luce va riconsiderata solo come una delle tre scienze che insieme costituiscono il più ampio ambito disciplinare della semiotica, la teoria dei segni in generale.
All’interno della semiotica, oltre alla già citata semantica, troviamo la pragmatica, che studia il comportamento segnico degli esseri umani che si scambiano segni per determinate cause, per determinati scopi, ecc. Non a caso, questo, è un ramo condiviso anche dalla psicologia, dalla sociologia, dall’antropologia in generale…
Laddove invece la semantica, prescindendo dalle componenti psicologiche e sociali, si occupa specificamente – come abbiamo visto – del rapporto tra segno e significato (compiendo quindi una prima astrazione), l’altra disciplina, quella che completa l’ambito della semiotica, è la sintattica, ovvero lo studio della sintassi. Con la sintattica si compie un’ulteriore astrazione: qui si prescinde anche dai significati, perché l’oggetto di studio, stavolta, sono i rapporti che intercorrono tra i segni in se stessi entro un dato sistema linguistico.
Semantica e sintattica, a loro volta, costituiscono i due grandi capitoli in cui si divide la logica formale pura.
Varie teorie sui segni si sono susseguite nel pensiero occidentale, fin dall’antica Grecia, passando per i filosofi medievali, arrivando alla modernità, con la tradizione cartesiana, leibniziana, senza dimenticare l’empirismo inglese (dove John Locke è il primo a usare il termine “semiotica” in prospettiva filosofica) , fino a giungere al XX secolo, con gli studi di Pierce, De Saussure, e del “nostro” premiatissimo Umberto Eco.
Charles Baudelaire, uno dei miei poeti preferiti, nel suo componimento “Correspondances” parlava della natura come una “foresta di simboli”, di “arcane corrispondenze” tra ciò che vediamo e ciò che crediamo rappresenti…
Siamo emozioni, sentimenti, siamo pensieri… e al tempo stesso siamo, nell’immediato concreto, anche segni, a nostra volta immersi in un universo sociale di segni, … in ogni istante rechiamo, connaturati a noi, anche i segni del nostro pensiero, del nostro essere, del nostro modo di vivere.
Francesco Macaluso
Che cosa vuol dire?
La parola “casa”, ad esempio, di certo non somiglia a una casa, ma il suo segno, il suo insieme di lettere, produce un morfema, un lemma, che diventa il referente linguistico di un oggetto fisico esistente. Tale parola sarebbe un segno visivo, se lo leggessimo; un segno acustico se invece la percepiamo e la comprendiamo con l’udito.
In inglese diremmo house, in francese maison, in tedesco haus, ecc., tutte parole diverse a livello di segno, ma tutte referenti di uno stesso significato (concetto). La natura esclusivamente convenzionale dei segni è dunque caratterizzata da una tipica arbitrarietà di legame tra un segno e il suo significato.
Questa asserzione era già nota ai filosofi medievali, per i quali il segno è sempre aliquid stat pro aliquo, cioè “qualcosa che rinvia a qualcos’altro”.
La semantica (dal greco semeion = segno) , per l’appunto, è la disciplina che studia il rapporto dei segni con gli oggetti cui si riferiscono, ossia il rapporto di designazione.
Il termine fu coniato per la prima volta da Brèal nel 1897, e compare nel titolo del suo saggio, col quale la suddetta disciplina fu presentata per la prima volta (Essais de semantique. Science des significations). La semantica è quindi quella parte della linguistica – e in particolare della logica – che studia e analizza la funzione significatrice dei segni, i nessi tra i segni linguistici (parole, frasi, ecc.) e i loro significati.
Attraverso l’opera di R. Carnap (uno dei maggiori rappresentanti del “Circolo di Vienna”, attivo negli anni ‘20) viene delimitato il campo d’azione della semantica, che in questa luce va riconsiderata solo come una delle tre scienze che insieme costituiscono il più ampio ambito disciplinare della semiotica, la teoria dei segni in generale.
All’interno della semiotica, oltre alla già citata semantica, troviamo la pragmatica, che studia il comportamento segnico degli esseri umani che si scambiano segni per determinate cause, per determinati scopi, ecc. Non a caso, questo, è un ramo condiviso anche dalla psicologia, dalla sociologia, dall’antropologia in generale…
Laddove invece la semantica, prescindendo dalle componenti psicologiche e sociali, si occupa specificamente – come abbiamo visto – del rapporto tra segno e significato (compiendo quindi una prima astrazione), l’altra disciplina, quella che completa l’ambito della semiotica, è la sintattica, ovvero lo studio della sintassi. Con la sintattica si compie un’ulteriore astrazione: qui si prescinde anche dai significati, perché l’oggetto di studio, stavolta, sono i rapporti che intercorrono tra i segni in se stessi entro un dato sistema linguistico.
Semantica e sintattica, a loro volta, costituiscono i due grandi capitoli in cui si divide la logica formale pura.
Varie teorie sui segni si sono susseguite nel pensiero occidentale, fin dall’antica Grecia, passando per i filosofi medievali, arrivando alla modernità, con la tradizione cartesiana, leibniziana, senza dimenticare l’empirismo inglese (dove John Locke è il primo a usare il termine “semiotica” in prospettiva filosofica) , fino a giungere al XX secolo, con gli studi di Pierce, De Saussure, e del “nostro” premiatissimo Umberto Eco.
Charles Baudelaire, uno dei miei poeti preferiti, nel suo componimento “Correspondances” parlava della natura come una “foresta di simboli”, di “arcane corrispondenze” tra ciò che vediamo e ciò che crediamo rappresenti…
Siamo emozioni, sentimenti, siamo pensieri… e al tempo stesso siamo, nell’immediato concreto, anche segni, a nostra volta immersi in un universo sociale di segni, … in ogni istante rechiamo, connaturati a noi, anche i segni del nostro pensiero, del nostro essere, del nostro modo di vivere.
Francesco Macaluso